Il volto santo di Dobbiana

Il volto santo di Bocca di magra e di Dobbiana

Siamo lieti di pubblicare il seguente articolo di Davide Baroni, pubblicato sulla rivista Hera Magazine, xpublishing.it (Hera n. 34).

Che cos'hanno in comune tre reliquie di Lucca, Bocca di magra e Dobbiana?

Come promesso nel precedente articolo, dove mi sono occupato del Volto Santo di Lucca, in questo articolo vi parlerò di due reliquie meno conosciute al pubblico: il Volto Santo del Monastero del Corvo e quello di Dobbiana in Lunigiana. Riparto dalle considerazioni fatte dal ricercatore ligure, Piero Donati, secondo il quale il vero Volto Santo, o per meglio dire il più antico, non è quello che si trova a Lucca, bensì quello del monastero del Corvo, a Bocca di Magra in provincia di La Spezia. Non mi sembra possibile, la storia del Volto Santo è ricca di colpi di scena più di un giallo. La curiosità è tale che decido di andare a fare un’ispezione di rettamente sul campo e faccio squadra con gli amici di Luni & Apuania, esperti delle tradizioni e della storia locale. Presto raggiungiamo la parte più esterna del promontorio Caprione. Giunti nel grande piazzale, parcheggiamo di fronte alla struttura alberghiera gestita, a partire dalla seconda metà del XX secolo, dalla confraternita dei carmelitani scalzi. Questa si trova poco sopra il monastero, è circondata da un parco di circa 10 ettari, in gran parte boschivi.
La struttura di ricezione ha l’aspetto di un castello in stile neogotico, opera della famiglia Fabbricotti, noto industriale del marmo, e proprietario della struttura fino al fallimento avvenuto nella prima metà del Novecento. Camminiamo nel piazzale alla ricerca della stradina che conduce al monastero e rimango folgorato dal panorama: lo specchio d’acqua della baia riflette le cime spruzzate di neve dei monti apuani, eterni guardiani della foce del Magra. Un colpo d’occhio unico, meraviglioso. Mentre ci dirigiamo verso la cappella che custodisce il Volto Santo, chiamato anche Cristo nero, sono pervaso da una strana pace interiore che mi fa capire come mai questo promontorio fu scelto per costruire il monastero. Camminiamo sul selciato ghiaioso e ci confrontiamo sui dati in nostro possesso. Prima del mille, cioè prima della costruzione del monastero che esiste ancora oggi, il cui atto costitutivo risale al febbraio del 1776, probabilmente qui sorgeva un ospitale eremitico, del quale non è rimasto nulla.
Non sappiamo se in questa località, definita in quell’atto notarile ad Macenam, esistesse anche una cappella dove si adorava un crocifisso primitivo, precursore dell’attuale Volto Santo risalente al XII secolo. Nessuno ci vieta di pensare che qui ci fosse un crocifisso aniconico, e che il vescovo Pipino, visto il successo del Volto Santo nella vicina Lucca, abbia deciso di fondare un monastero da dedicare a Dio e alla Santa Croce. Ipotesi questa da non sottovalutare. Come è scritto nel sito ufficiale del monastero, l’attuale edificio risale al XVII secolo, quando in un anno non precisato, come rivela un manoscritto di Bonaventura De Rossi, il capitolo della Cattedrale di Sarzana ripristinò al Corvo il culto della Santa Croce e ciò avvenne “per opera e divozione di Egidio Abate Cattaneo, nostro sarzanese e canonico” e che nell’occasione “fu trasportata con grande solennità una maestosa immagine del Volto Santo di Lucca”, identificabile con l’attuale Croce. Ci avviciniamo alla cappella, superiamo un piccolo arco in pietra, alla cui sinistra si erge quel che resta di un’antica torre militare. Giriamo nel chiostro neogotico dove predomina il color rosso dei mattoni e sono attratto da una nicchia nel muro contenente un piccolo busto. Il volto di Dante, posto sopra una lastra marmorea, ricorda il passaggio del Sommo Poeta in questo luogo. Ignoravo il fatto. Una leggenda narra che Dante avrebbe lasciato a frate Ilaro una copia dell’Inferno da spedire al capitano di ventura Uguccione della Faggiola. Sto ancora riflettendo su questa storia, probabilmente poco più di una leggenda, quando lo sguardo mi cade sulla porta d’ingresso della cappella e di colpo mi dirigo verso il Cristo nero. Mi aspetta a braccia aperte, fissato su una croce moderna che contrasta con l’effige medioevale. Nessuna foto restituisce la bellezza dell’originale. Restiamo in silenzio ad ammirare quel legno lavorato con maestria e tornato all’antico splendore dopo il restauro del 1957. Anche il Volto Santo del Corvo è polimaterico. Occhi in pasta vitrea, torace e testa in pioppo, piedi in noce, mani e parte anteriore delle maniche in salice. Mi colpisce in particolare la simmetria dei lunghi capelli e la barba perfettamente divisa a metà sul mento. L’imponenza dell’opera è resa ancora più incombente dalle piccole dimensioni della cappella.
Fissato da quegli occhi perennemente aperti, mi sento quasi in soggezione. Mentre guardo il Cristo Nero mi tornano in mente le parole di Piero Donati: “il prezioso crocifisso del monastero di Santa Croce del Corvo è più antico di quello esposto in San Martino. Per essere precisi, questo crocifisso del XII secolo era quello venerato a Lucca prima che fosse sostituito dall’attuale”. Incredibile il gioco ad incastri tra leggende e storia. Ripenso all’ultima scoperta fatta da Eliana Vecchi relativa al documento originale riguardante la costituzione del monastero. Neanche questo fa indietreggiare Donati dalle sue conclusioni, e forse fa bene a non farlo. In un documento autentico del prefetto, simile ma non identico alla copia utilizzata dal copista del Codice Pelavicino, nella formula con cui Pipino prescrive che il Monastero sia fondato in onore di Dio e della Santa Croce e del beatissimo Nicholay confessore, troviamo quest’ultimo nome troncato con la forma Nich e interpretato dagli storici come Nicodemo. In realtà il documento originale analizzato da Eliana Vecchi non fa riferimento a San Nicodemo, bensì a San Nicolao, protettore di viandanti e pellegrini. Nonostante venga meno la premessa, che portava a considerare il Crocifisso del Corvo legato alla leggenda leobiniana, Donati spiega che il nocciolo della questione non viene meno. Mentre guardo il crocifisso, l’amico Franco Bernardini ripete le vicissitudini del monastero dopo la sua fondazione.
Dieci anni dopo la sua costruzione, precisamente nel 1186, questo fu affidato dal nuovo vescovo di Luni, Pietro, ai monaci pulsanesi di San Michele di Orticaria di Pisa. Dopo la decadenza del priorato pulsanese, nella metà del secolo XIV, i monaci si trasferirono a Sarzana e nel 1453 vennero uniti alla mensa canonicale di Santa Maria Assunta. Per tre secoli, e quindi fino alla metà del XVII secolo, il monastero del Corvo restò abbandonato. In tutto quel tempo, che fine aveva fatto il Volto Santo? Parrebbe logico sostenere che fosse stato portato a Sarzana. Ma così non è, come possiamo notare dalla visita apostolica fatta dal vescovo nel 1584, il quale sostiene che l’immagine sopra all’altare non è soddisfacente e che ci deve essere messa icona cum crucem. Mi guardo con i compagni di avventura e pensiamo tutti la stessa cosa: allora dov’era il Volto Santo attualmente esposto nella cappella? Solo allora ripenso alle parole di Piero Donati. Il critico d’arte fa notare che fino al 1109 a Lucca nella cattedrale di San Martino era venerata la Crux vetus e un’immagine dipinta. Il vescovo di Lucca, Rangerio, che morì nel 1112, non aveva mai accettato di buon occhio l’adorazione della Croce con appeso il corpo di Gesù, in quanto peregrina religium. Solo dopo la sua morte, probabilmente fra il 1112 e 1119, ci fu la venerazione di un Cristo tunicato tridimensionale. Secondo Donati la primitiva Crux vetus era un crocifisso aniconico, traslato in San Martino dalla distrutta chiesa Domini et Salvatoris. Questa sarebbe stata adorata fino ai primi anni del XI secolo e poi sostituita dal Cristo tridimensionale, Cristo nero, poi divorato dai tarli e quindi messo in disparte per alcuni secoli. Per Donati questo primo crocifisso tridimensionale sarebbe stato a sua volta sostituito dall’attuale Volto Santo di Lucca, realizzato nel XIII secolo. Il vecchio Volto Santo sarebbe rimasto in un luogo sicuro per quasi tre secoli, per poi riapparire restaurato nel XVII secolo proprio al Corvo. I canonici di Sarzana, per rilanciare il monastero, fecero arrivare nella cappella il crocifisso tridimensionale lucchese, messo da parte perché, come detto, rovinato dai tarli. Dalla testimonianza di un pellegrino chiamato Placentinu sappiamo infatti che il volto lucchese non poteva più fare miracoli a causa delle sue cattive condizioni. Addirittura il crocifisso doveva essere ripitturato più volte per nascondere le magagne. Restaurato per l’ultima volta a Genova nel 1957, secondo Donati quest’ultimo corrisponde in tutto e per tutto al Volto Santo descritto nel XII secolo nel duomo lucchese: oculos cristallinos di pasta vitrea, policromatico, sui piedi entro argenteos subtellares ma soprattutto l’unico ad aver subito l’attacco dei tarli. Nessun altro ha le caratteristiche descritte qui sopra, se non il Cristo nero che si trova ora a Bocca di Magra. Altro elemento che fa propendere Donati a pensare che il volto di Bocca di Magra fosse quello originario di Lucca, sono le monete lucchesi, ossia i grossi argentei di Lucca, che hanno impresso il volto del Cristo tunicato. La barba di Gesù riprodotta sulla moneta è identica a quella che troviamo al monastero del Corvo, guardando il crocifisso di profilo. Qual è allora il Volto Santo più antico? Qual è il prototipo, padre degli altri cristi tunicati? Quello di Lucca o quello che si trova ora a Bocca di Magra?
Mi guardo ancora una volta con i compagni di avventura e pensiamo a quanto questa storia sia intricata ma affascinante. Lo sguardo mi cade per l’ultima volta sulla magnifica statua, che pare ascoltare in silenzio. Potesse parlare ci toglierebbe ogni dubbio, invece usciamo dalla cappella senza risposta, pensierosi ma con lo sguardo appagato dal magnifico Cristo nero. All’improvviso una voce mi giunge alle spalle: «E se la soluzione si trovasse in Lunigiana? Se la chiave di tutto fosse il Volto Santo di Dobbiana?» Pensavo di poter concludere l’articolo quando entra in scena l’ennesimo Volto Santo, un crocifisso che si trova nella mia Lunigiana e del quale ignoravo l’esistenza. Altra tappa… Dobbiana. Arrivato sul posto con Apuana Jones, come gli amici di Luni & Apuania hanno ribattezzato Sonia, la mia compagna e collaboratrice, ho lo sguardo smarrito. Dobbiana non è propriamente un borgo, ma un insieme di frazioni che fanno riferimento alla chiesa di San Giovanni Battista, una località che, oltre l’edificio sacro, comprende i paesini di Arnuzzolo, Macerie e Tarasco. Abbiamo raggiunto il luogo in breve tempo grazie alle indicazioni forniteci dagli amici Verrini e Lazzerini.
Non mi aspettavo di trovare la chiesa al limitare di un bosco, senza abitazioni vicine e completamente isolata… insomma, un po’ fuori dal mondo. Camminiamo sulle pietre simili alle piagne dei tetti e ci avviciniamo alla chiesa. La prima cosa che noto è una colonna marmorea che si erge in mezzo alla piazza antistante l’ingresso, alla sommità svetta la statua della Madonna. Il mio sguardo poi scivola sulla facciata romanica formata da bozze di arenaria, semplice ma allo stesso tempo maestosa. Sono ancora perso nei miei pensieri quando sento la voce di Cesare, uno dei responsabili che ha la chiave del portone d’ingresso, che scandisce il mio nome e ci invita ad entrare. Ci avviciniamo per salutarlo e ringraziarlo della gentilezza. L’amico ci apre il portone e la semplicità della facciata si trasforma in un capolavoro barocco. È così bella che il mio sguardo si perde tra gli stucchi e i marmi policromi. Sonia inizia a riprendere tutto, anche lei non sta più nella pelle: vuole vedere il misterioso Volto Santo. Grazie alle informazioni attinte dall’archivio parrocchiale, sappiamo che la chiesa è stata costruita nel 1426, ma siamo certi che già attorno all’anno mille ci fosse un edificio sacro. Infatti le linee strutturali messe in evidenza dagli ultimi lavori di restauro, dimostrano che l’antica chiesa aveva struttura e pianta romanica con tre navate. L’attuale edificio fu restaurato nel 1698, riducendo l’altezza della navata centrale ed eliminando colonne e pilastri. Fu allora che furono consolidati i muri esterni con i barbacani, dando alla chiesa l’aspetto attuale. Una tradizione popolare narra che la chiesa è stata costruita inclinata per non toccare la nicchia contenente il Volto Santo. Questo ci suggerisce che durante il restauro, il prezioso crocifisso fosse già lì. Camminiamo nella chiesa sotto lo sguardo sornione di Cesare, ci guarda senza proferir parola, lasciandoci il tempo di ammirarla. Alla mia destra, sopra una piccola ara scorgo il dipinto del Volto Santo, è meraviglioso. Cesare però non si ferma accanto a me, continua a camminare verso l’altare perché vuole mostrarmi un quadro della Madonna posto dietro la mensa sacra, probabilmente l’unico oggetto che, assieme alla fonte battesimale, proviene dall’antico edificio. Mi dirigo verso di lui e vedo il quadro, rimango stupito per la sua semplicità e armonia: la Madonna col bambino mi guarda da dietro un vetro di protezione, io la sfioro e mi faccio il segno della croce.
Continuo la perlustrazione con fare stranito, ormai ho girato l’intero perimetro della chiesa, ma non ho ancora visto il crocifisso ligneo. Proprio in quel momento sento tirare una corda e, come in un gioco di prestigio, il quadro dove campeggiava il dipinto del Volto Santo scende e, davanti ai miei occhi, appare il crocifisso. Talmente bello e magico che non riesco a proferir parola. Sonia per fortuna ha ripreso quella magia durata solo pochi secondi. Quasi non riesco a crederci. Guardo meglio e mi accorgo che, anche qui, il piede di Gesù è posto sopra un calice d’oro. Dopo l’iniziale stupore, comincio a tempestare di domande l’amico che ci ha accolto. Cesare mi racconta che il crocifisso conserva ancora l’antica funzione di reliquiario. Incastonata nel petto della statua, infatti, è conservata una piccola teca in vetro con all’interno un frammento della Santa Croce. L’amico prosegue dicendomi che, secondo la tradizione popolare che si rifà ancora una volta alla leggenda leobiniana, l’immagine del Volto Santo giunse a Dobbiana da Luni per libera volontà dei famosi buoi non domati. Senza guida umana, i due animali si sarebbero mossi alla volta del paese e solo in esso si sarebbero fermati. Questo indica la chiara influenza lucchese nella tradizione di Dobbiana, anche perché Lucca, nei primi decenni del 1300, aveva già preso possesso, oltre che di Pontremoli, anche di altre comunità lunigianesi, tra le quali Aulla.
Il dominio lucchese, la leggenda dei buoi, il piede di Gesù sul calice, la reliquia all’interno del Volto Santo, sono tutti elementi che collegano Dobbiana a Lucca e, a mio avviso, indicano la possibilità che il primo crocifisso ligneo, quello tarlato e traslato poi a Bocca di Magra, potesse essere stato nascosto in questo luogo sperduto della Lunigiana per oltre tre secoli. Le prove non sono molte, ma è giusto poter avanzare anche questa ipotesi. La statua, ancora oggi oggetto di un’appassionata devozione popolare, è portata in processione due volte l’anno, in concomitanza delle feste legate al culto della Santa Croce: il 3 maggio e il 14 settembre. La processione si snoda verso i campi, ove viene ripetuto il rito delle rogazioni. Del resto il legame della festa con il mondo agricolo ce lo ricorda un antico proverbio che così recita: il pastore, per procedere alla tosatura, deve lasciar passare Santa croce di maggio e non aspettare quella di settembre. Sonia ed io salutiamo Cesare e facciamo ritorno verso casa. Non dico nulla, sono perso nei miei pensieri. Perché Dobbiana custodisce una reliquia così importante? Metto da parte il rigore scientifico e faccio affidamento al mio istinto di scrittore. Mi sembra di vedere il Volto santo arrivare a Dobbiana sopra un carro trainato dai buoi.
La preziosa reliquia è divorata dai tarli ma, nonostante questo, chi la maneggia sta ben attento a non farla cadere. Questo è l’originale Volto Santo che rimarrà qui nascosto finché non prenderà la strada per Luni e per il monastero del Corvo. Con l’avanzata degli infedeli in Europa, in molti temono che la preziosa reliquia possa cadere nelle loro mani. La chiesa nel territorio lunigianese sembra la soluzione più adatta come nascondiglio. La preziosa reliquia resterà qui fino al trasferimento a Bocca di Magra e solo allora a Dobbiana arriverà l’attuale Volto Santo, in ricordo dell’originale. La macchina procede lentamente, l’ipotesi che mi è balzata alla testa non è suffragata da nessun riscontro documentale, ma questo non mi impedisce di fare elucubrazioni e dare uno spunto per future ricerche. Giunto a casa decido di chiudere qui il mio pezzo. L’importanza del sangue di Gesù, contenuto nel sacro calice, la rivelerò in un prossimo articolo. Davide Baroni

Ringraziamenti

Ancora un grazie a Davide Baroni per l'impegno e la ricerca e alla rivista Hera Magazine, xpublishing.it che ci ha permesso di riprodurre l'articolo.

    Perché Dobbiana custodisce una reliquia così importante? Metto da parte il rigore scientifico e faccio affidamento al mio istinto di scrittore. Mi sembra di vedere il Volto santo arrivare a Dobbiana sopra un carro trainato dai buoi.
    La preziosa reliquia è divorata dai tarli ma, nonostante questo, chi la maneggia sta ben attento a non farla cadere. Questo è l’originale Volto Santo che rimarrà qui nascosto finché non prenderà la strada per Luni e per il monastero del Corvo. Con l’avanzata degli infedeli in Europa, in molti temono che la preziosa reliquia possa cadere nelle loro mani. La chiesa nel territorio lunigianese sembra la soluzione più adatta come nascondiglio. La preziosa reliquia resterà qui fino al trasferimento a Bocca di Magra e solo allora a Dobbiana arriverà l’attuale Volto Santo, in ricordo dell’originale.