Va ogni sera alla fontana,
dove bianche l'acque scrosciano,
la bellissima figliola
del Sultano a passeggiare.
E ogni sera alla fontana,
dove bianche l'acque scrosciano,
sta uno schiavo giovinetto:
ogni dì più smorto appare.
Verso lui la principessa
va una sera e dice in fretta:
"Il tuo nome, io vo' sapere,
la tua patria, i tuoi cognati!"
E lo schiavo a lei: "Mi chiamo
Mohamèt, nacqui nell'Yemen,
son degli Asra, quei che muoiono
quando sono innamorati."
(Heinrich Heine - Antologia lirica - Trad. Amalia Vago)
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SCHELM DI BERGEN
C'è un ballo in costume stanotte al castello
di Dusseldorf, alto sul Reno.
Van maschere multicolori a le vampe
dei ceri nel ritmo sereno.
E danza la bella duchessa, mai stanca
di ridere forte, squillante.
Il suo ballerino è un garzone slanciato
ed agile, molto galante.
Dal suo mascherino di nero velluto
giulivo origliando scintilla
un occhio che,
come un pugnale snudato
a mezzo del fodero, brilla.
Applaudono liete la coppia al passaggio
le maschere carnevalesche:
con schiocchi e sghignazzi accompagnano il ritmo
le buffe figure burlesche.
La tromba spettegola, il contrabbasso
impazzisce, tempesta:
sinchè finalmente la musica tace
ed anche la danza s'arresta.
"O mia Serenissima, chiedo licenza:
io debbo andar via." - Ma ridendo,
gli fa la duchessa: "Ti lascio, ma prima
vedere il tuo viso pretendo."
"O mia Serenissima, chiedo licenza:
fa orrore, il mio viso, e spavento!"
Lei ride: "Non temo: su, mostrami il volto!
E poi parti pure, consento."
"O mia Serenissima, chiedo licenza:
la notte, la morte mi chiama!"
Lei ride: "Non prima ch'io veda il tuo volto,
che tu mi soddisfi la brama."
Invanno egli tenta di schermirsi con frasi
oscure; ragione non sente
la donna, ed infine gli strappa dal volto
la maschera violentemente.
"E' il boia di Bergen!" - la folla atterrita
sperdendosi grida, interdetta.
E dentro le braccia al consorte, tremante,
la bella duchessa si getta.
Il duca è avveduto, e l'oltraggio a la sposa
cancella in un batter d'occhio.
Snudata la spada lucente, comanda:
"Qui a me, giovanotto, in ginocchio!"
"Con questo mio colpo di spada, ti faccio
e nobile e cavaliere;
ma, essendo un carnefice, un Schelm, Schelm di Bergen,
quel nome dovrai mantenere."
Così fu il carnefice il nobile ceppo
dei Schelme di Bergen. Famosa,
superba progenie renana, che oggi
in arche di marmo riposa.
(Heinrich Heine - Romanzero - Trad. Giorgio Calabresi)
di Dusseldorf, alto sul Reno.
Van maschere multicolori a le vampe
dei ceri nel ritmo sereno.
E danza la bella duchessa, mai stanca
di ridere forte, squillante.
Il suo ballerino è un garzone slanciato
ed agile, molto galante.
Dal suo mascherino di nero velluto
giulivo origliando scintilla
un occhio che,
come un pugnale snudato
a mezzo del fodero, brilla.
Applaudono liete la coppia al passaggio
le maschere carnevalesche:
con schiocchi e sghignazzi accompagnano il ritmo
le buffe figure burlesche.
La tromba spettegola, il contrabbasso
impazzisce, tempesta:
sinchè finalmente la musica tace
ed anche la danza s'arresta.
"O mia Serenissima, chiedo licenza:
io debbo andar via." - Ma ridendo,
gli fa la duchessa: "Ti lascio, ma prima
vedere il tuo viso pretendo."
"O mia Serenissima, chiedo licenza:
fa orrore, il mio viso, e spavento!"
Lei ride: "Non temo: su, mostrami il volto!
E poi parti pure, consento."
"O mia Serenissima, chiedo licenza:
la notte, la morte mi chiama!"
Lei ride: "Non prima ch'io veda il tuo volto,
che tu mi soddisfi la brama."
Invanno egli tenta di schermirsi con frasi
oscure; ragione non sente
la donna, ed infine gli strappa dal volto
la maschera violentemente.
"E' il boia di Bergen!" - la folla atterrita
sperdendosi grida, interdetta.
E dentro le braccia al consorte, tremante,
la bella duchessa si getta.
Il duca è avveduto, e l'oltraggio a la sposa
cancella in un batter d'occhio.
Snudata la spada lucente, comanda:
"Qui a me, giovanotto, in ginocchio!"
"Con questo mio colpo di spada, ti faccio
e nobile e cavaliere;
ma, essendo un carnefice, un Schelm, Schelm di Bergen,
quel nome dovrai mantenere."
Così fu il carnefice il nobile ceppo
dei Schelme di Bergen. Famosa,
superba progenie renana, che oggi
in arche di marmo riposa.
(Heinrich Heine - Romanzero - Trad. Giorgio Calabresi)
SPOSE CELESTI
Chi dal chiostro a mezzanotte
passi per combinazione,
vedrà luce alle finestre.
Son gli spettri in processione.
Tetra schiera d'Orsoline
morte; giovani sembianti
vaghi, tra cappucci e lini,
neri e candidi, origlianti.
Torce splendono sinistre,
rosso sangue, fra le mani,
rieccheggiano nel chiostro
lai, sussurri fiochi e strani.
Il corteo va dentro in chiesa
e, di bossolo sui seggi
assidendosi, nel coro,
dà la stura ai suoi solfeggi.
Arie sacre, litanìe,
ma parole deliranti;
poveranime, del cielo
su le spoglie, supplicanti.
"Fummo spose a Cristo; pure
cu traviò terren desìo,
sicchè a Cesare noi demmo
la prebenda del Buon Dio.
"Seducenti sono i baffi
lustri e lisci, e l'uniforme.
E poi Cesare ha spalline
d'oro d'un prestigio enorme.
"Alla fronte che di spine
cinse un serto noi fornimmo
un trofeo da cervo. Il nostro
Redentore noi tradimmo.
"E' Gesù, bontà in persona,
per la nostra colpa abietta
pianse dolce, e: "L'alma vostra -
disse poi - sia maledetta!
"Spettri evasi dalle tombe,
noi dobbiam tutte le sere
vagolar fra queste mura -
Miserere! Miserere!
"Non sarebbe mal l'avello
se, ne le celesti sfere,
non si stesse più al calduccio -
Miserere! Miserere!
"Deh! rimettici la colpa,
Gesù dolce, e trattenere
ci potrai nel caldo cielo -
Miserere! Miserere!
Canta il coro. E un sagrestano
morto, all'organo, ridesta
da le canne artigli d'ombra
in un nembo di tempesta.
passi per combinazione,
vedrà luce alle finestre.
Son gli spettri in processione.
Tetra schiera d'Orsoline
morte; giovani sembianti
vaghi, tra cappucci e lini,
neri e candidi, origlianti.
Torce splendono sinistre,
rosso sangue, fra le mani,
rieccheggiano nel chiostro
lai, sussurri fiochi e strani.
Il corteo va dentro in chiesa
e, di bossolo sui seggi
assidendosi, nel coro,
dà la stura ai suoi solfeggi.
Arie sacre, litanìe,
ma parole deliranti;
poveranime, del cielo
su le spoglie, supplicanti.
"Fummo spose a Cristo; pure
cu traviò terren desìo,
sicchè a Cesare noi demmo
la prebenda del Buon Dio.
"Seducenti sono i baffi
lustri e lisci, e l'uniforme.
E poi Cesare ha spalline
d'oro d'un prestigio enorme.
"Alla fronte che di spine
cinse un serto noi fornimmo
un trofeo da cervo. Il nostro
Redentore noi tradimmo.
"E' Gesù, bontà in persona,
per la nostra colpa abietta
pianse dolce, e: "L'alma vostra -
disse poi - sia maledetta!
"Spettri evasi dalle tombe,
noi dobbiam tutte le sere
vagolar fra queste mura -
Miserere! Miserere!
"Non sarebbe mal l'avello
se, ne le celesti sfere,
non si stesse più al calduccio -
Miserere! Miserere!
"Deh! rimettici la colpa,
Gesù dolce, e trattenere
ci potrai nel caldo cielo -
Miserere! Miserere!
Canta il coro. E un sagrestano
morto, all'organo, ridesta
da le canne artigli d'ombra
in un nembo di tempesta.
(Heinrich Heine - Romanzero - Trad. Giorgio Calabresi)
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