Pagine

Visualizzazione post con etichetta Il libro dei canti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Il libro dei canti. Mostra tutti i post

RITORNO

Io sempre te lo dissi ( non è vero? )
che in alto saprei giungere.

E i miracoli compio tutti i giorni
da farti strabiliare,
e per tuo spasso oggi rallegrare
i Berlinesi voglio.

Ed ecco, del selciato ora si fendano
le pietre ad una ad una,
e chiara e fresca un'ostrica ciascuna
al mio cenno contengano.

E una pioggia di sugo di limone
scenda come rugiada
le irrori, e scorra ai lati della strada
il vin del Reno, a rivoli.

Oh come i Berlinesi si rallegrano,
corrono a divorare;
i Consiglieri son curvi a succhiare
il vino dai rigagnoli.

Oh come si rallegrano i poeti
a tal grazia del Cielo!
I tenenti e gli alfieri con gran zelo
tutta la strada leccano.

I tenenti e gli alfieri, che di tutti
sono i più intelligenti,
van pensando che simili portenti
tutti i dì non succedono.

(Heinrich Heine - Il libro dei canti - Trad. Amalia Vago)

RITORNO - 19

Nell'atrio son tornato,
dov'ella a me fede ha giurato;
dove allora il suo pianto è caduto,
strisciar fuori serpenti ho veduto.

(Heinrich Heine - Il libro dei canti - Trad. Amalia Vago) 

ALMANSOR

I.

Là nel Duomo di Cordòva
mille s'ergono colonne;
gigantesche, esse sostengono
quella cupola gigante.

Su colonne e su pareti,
le sentenze del Corano,
in arabico, s'intrecciano
genialmente, come fiori.

I re Mori un tempo eressero,
per Allah, questa dimora.
Molte cose son cambiate
nell'oscuro andar dei secoli.

Sulla torre ove il muezzino
già chiamava alla preghiera,
suonan ora le cristiane
melanconiche campane.

Sui gradini ove i credenti
invocavano il Profeta,
ora i preti chiericati
rappresentano la messa.

Ed è tutto un inchinarsi
a fantocci variopinti;
un belare, un incensare,
e di ceri un gocciolare.

Là, nel Duomo di Cordòva,
sta Almansòr ben Abdullah,
e contempla le colonne
e tra sé dice in silenzio:

"Voi, colonne gigantesche,
decorate per Allah,
voi dovete oggi servire
all'odiato cristianesimo.

Voi, ai tempi vi adattate
sopportate in pace il peso;
Io son uomo, e assai più debole,
tanto più mi adatterò."

E il suo capo, a viso lieto,
là nel Duomo di Cordòva,
sull'ornato battistero
piega il giovane Almansòr.

II.

Esce svelto poi dal Duomo,
fugge via sul suo destriero,
sciolto al vento il crin bagnato
e le piume del cappello.

Sulla via per Alkoléa,
lungo il gran Guadalquivìr,
tra gli amici profumati,
e tra i mandorli fioriti,

là cavalca il cavaliere;
fischia e canta, e lieto ride;
con lui cantano gli uccelli,
e lo strepito del fiume.

Nel castello di Alkoléa
vive Clara degli Alvares;
a Navarra è il padre in guerra:
lento è il freno della bella.

E Almansòr sente da lunge
trombe e timpani suonare,
e tra gli alberi brillare
vede i lumi del castello.

Ivi danzano eleganti
dame, danzano eleganti
cavalieri, ma nessuno
danza pari ad Almansòr.

Dal più allegro umore spinto
nella sala egli volteggia,
a ogni dama egli sa dire
le più amabili lusinghe.

A Isabella bacia rapido
le manine, e se ne va;
siede innanzi a Elvira bella
e la fissa, lieto, in viso.

A Leonora con un riso
chiede: Forse oggi ti piaccio?
e fa pompa delle croci
ricamate sul mantello.

A ogni dama egli assicura
che la porta in cuore, e giura
trenta volte in quella sera
"Com'è ver che son cristiano".

III.

Nel castello di Alkoléa
è cessato ogni diletto;
cavalieri e dame sparvero,
ed i lumi sono spenti.

Soli, Clara ed Almansòr
son rimasti nella sala,
e sui due l'ultima lampada
spande un debole chiaror.

Sul divano siede Clara,
ai suoi piedi il cavaliere;
sui ginocchi dell'amata
posa il capo sonnolento.

Versa Clara olio di rose
sopra i riccioli di lui,
premurosa e pensierosa...
Ei sospira dal profondo.

Posa Clara un lieve bacio
sopra i riccioli di lui,
premurosa e pensierosa...
Egli in volto si rannuvola.

Piange Clara un mar di pianto
sopra i riccioli di lui,
premurosa e pensierosa...
E le labbra di lui tremano.

Egli sogna; sta di nuovo,
chino il capo gocciolante,
là nel Duomo di Cordòva.
Mille oscure voci suonano.

Le colonne gigantesche
tutte mormorano irate,
più non voglion sopportare
l'onta, e ondeggiano, e vacillano,

e rovinano selvagge.
Prete e popolo si sbiancano.
L'alta cupola precipita,
e gli Dei cristiani gemono.

(Heinrich Heine - Il libro dei canti - Trad. Amalia Vago)

RITORNO - 1

Nel gran buio della vita
una dolce forma un giorno
mi splendeva; ora è sparita,
notte fitta è a me d'intorno.

Quando i bimbi, nell'oscura
stanza, presi son dal pianto,
per scacciare la paura
van cantando forte un canto.

Bimbo folle io pure canto
nella triste oscurità.
Se non suona lieto il canto
pur l'angoscia se ne va.

(Heinrich Heine - Il libro dei canti - Trad. Amalia Vago)

RITORNO - 21

Tu puoi quieta dormire
e sai che io vivo ancora?
Torni l'antico sdegno
e il giogo io spezzo allora.

Sai la canzone antica?
Un morto innamorato
con sé a notte l'amata
nella tomba ha portato.

Credimi, tu bellissima,
tu perla delle amanti,
io vivo e son più forte
dei morti tutti quanti!

(Heinrich Heine - Il libro dei canti - Trad. Amalia Vago)

IL PELLEGRINAGGIO A KEVLAAR

I.

Giace il figliolo a letto,
la madre sta al balcone.
"Su, Guglielmo, non vuoi
veder la processione?"

"Sto così male, mamma,
che più nulla mi preme;
penso alla Ghita morta,
e tutto il cuor mi geme".

"Su, andiamo a Kevlaar; prendi
libro e corona; là
il tuo cuore la santa
Madonna guarirà".

Sventolan gli stendardi,
salmodian le persone;
attraverso Colonia
passa la processione.

La madre regge il figlio,
con la folla si avvia;
cantano entrambi in coro:
Sii lodata, Maria!

II.

La Madonna oggi a Kevlaar
ha i vestiti più ornati;
oggi ha molto da fare,
vengono molti malati.

Ciascun le porta in voto,
secondo ciò che chiede,
membra fatte di cera,
una mano od un piede.

E chi una mano ha offerto,
gli guarisce la mano;
e chi un piede ha recato,
ecco il suo piede è sano.

Or danza sulla fune,
chi qua venne attrappito;
ed or suona il violino,
chi il dito ebbe guarito.

La madre prese un cero
e ne compose un cuore.
"Alla Madonna portalo,
guarirà il tuo dolore".

Il figliolo sospirando
lo prende, e va all'altare;
sgorga il pianto dall'occhio,
dal cuore il suo parlare:

"O santa o benedetta
pura ancella di Dio,
a te, del ciel Regina,
lamento il dolor mio!

Con la mamma abitavo
a Colonia, il paese
che ha molte centinaia
di cappelle e di chiese.

La Ghita a noi vicino
abitava; ora è morta...
Ti porto un cuor di cera,
tu il mio cuore conforta.

Sana il mio cuor ferito,
e la preghiera mia
sarà mattina e sera:
Sii lodata, Maria!"

III.

Dormono madre e figlio
nella piccola stanza,
ed entra la Madonna
e lieve lieve avanza.

Si chinò sul malato,
la mano gli posò
lieve lieve sul cuore,
sorrise e si dileguò.

Questo in sogno la madre
ed altre cose ha scorte;
e si destò che i cani
abbaiavano forte.

Là giaceva disteso
il suo figliolo morto;
la chiara aurora scherza
sopra quel volto smorto.

Essa giunge le mani,
e non sa come sia;
canta devota piano:
Sii lodata, Maria!

(Heinrich Heine - Il libro dei canti - Trad. Amalia Vago)

RITORNO - 53

La mia pallida faccia non tradisce
le mie pene da sola?
Tu vuoi che dica l'orgogliosa bocca
mendìca una parola?

Ah no, troppo orgogliosa è questa bocca
e solo bacia e ride;
forse direbbe una parola ironica,
mentre il dolor mi uccide.

(Heinrich Heine - Il libro dei canti - Trad. Amalia Vago)