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LAMENTAZIONI

Una volubile amorosa
è la Fortuna ; t'accarezza
lieve i capelli ; e, frettolosa,
ti bacia, e vola ad altra ebbrezza.

Monna Sventura è più leale ;
t'abbraccia forte, e: Non ho fretta! -
dice, e si pianta al capezzale
a sferruzzare la calzetta.

(Heinrich Heine - Romanzero - Trad. Giorgio Calabresi)

SCHELM DI BERGEN

C'è un ballo in costume stanotte al castello
di Dusseldorf, alto sul Reno.
Van maschere multicolori a le vampe
dei ceri nel ritmo sereno.

E danza la bella duchessa, mai stanca
di ridere forte, squillante.
Il suo ballerino è un garzone slanciato
ed agile, molto galante.

Dal suo mascherino di nero velluto
giulivo origliando scintilla
un occhio che,
come un pugnale snudato
a mezzo del fodero, brilla.

Applaudono liete la coppia al passaggio
le maschere carnevalesche:
con schiocchi e sghignazzi accompagnano il ritmo
le buffe figure burlesche.

La tromba spettegola, il contrabbasso
impazzisce, tempesta:
sinchè finalmente la musica tace
ed anche la danza s'arresta.

"O mia Serenissima, chiedo licenza:
io debbo andar via." - Ma ridendo,
gli fa la duchessa: "Ti lascio, ma prima
vedere il tuo viso pretendo."

"O mia Serenissima, chiedo licenza:
fa orrore, il mio viso, e spavento!"
Lei ride: "Non temo: su, mostrami il volto!
E poi parti pure, consento."

"O mia Serenissima, chiedo licenza:
la notte, la morte mi chiama!"
Lei ride: "Non prima  ch'io veda il tuo volto,
che tu mi soddisfi la brama."

Invanno egli tenta di schermirsi con frasi
oscure; ragione non sente
la donna, ed infine gli strappa dal volto
la maschera violentemente.

"E' il boia di Bergen!" - la folla atterrita
sperdendosi grida, interdetta.
E dentro le braccia al consorte, tremante,
la bella duchessa si getta.

Il duca è avveduto, e l'oltraggio a la sposa
cancella in un batter d'occhio.
Snudata la spada lucente, comanda:
"Qui a me, giovanotto, in ginocchio!"

"Con questo mio colpo di spada, ti faccio
e nobile e cavaliere;
ma, essendo un carnefice, un Schelm, Schelm di Bergen,
quel nome dovrai mantenere."

Così fu il carnefice il nobile ceppo
dei Schelme di Bergen. Famosa,
superba progenie renana, che oggi
in arche di marmo riposa.

(Heinrich Heine - Romanzero - Trad. Giorgio Calabresi)

SPOSE CELESTI

Chi dal chiostro a mezzanotte
passi per combinazione,
vedrà luce alle finestre.
Son gli spettri in processione.

Tetra schiera d'Orsoline
morte; giovani sembianti
vaghi, tra cappucci e lini,
neri e candidi, origlianti.

Torce splendono sinistre,
rosso sangue, fra le mani,
rieccheggiano nel chiostro
lai, sussurri fiochi e strani.

Il corteo va dentro in chiesa
e, di bossolo sui seggi
assidendosi, nel coro,
dà la stura ai suoi solfeggi.

Arie sacre, litanìe,
ma parole deliranti;
poveranime, del cielo
su le spoglie, supplicanti.

"Fummo spose a Cristo; pure
cu traviò terren desìo,
sicchè a Cesare noi demmo
la prebenda del Buon Dio.

"Seducenti sono i baffi
lustri e lisci, e l'uniforme.
E poi Cesare ha spalline
d'oro d'un prestigio enorme.

"Alla fronte che di spine
cinse un serto noi fornimmo
un trofeo da cervo. Il nostro
Redentore noi tradimmo.

"E' Gesù, bontà in persona,
per la nostra colpa abietta
pianse dolce, e: "L'alma vostra -
disse poi - sia maledetta!

"Spettri evasi dalle tombe,
noi dobbiam tutte le sere
vagolar fra queste mura -
Miserere! Miserere!

"Non sarebbe mal l'avello
se, ne le celesti sfere,
non si stesse più al calduccio -
Miserere! Miserere!

"Deh! rimettici la colpa,
Gesù dolce, e trattenere
ci potrai nel caldo cielo -
Miserere! Miserere!

Canta il coro. E un sagrestano
morto, all'organo, ridesta
da le canne artigli d'ombra
in un nembo di tempesta.

(Heinrich Heine - Romanzero - Trad. Giorgio Calabresi)

NELL'ALBUM DI MATILDE

Qui, in carta straccia, con solenne
calamo d'oca ed in poesia
io devo buttar giù, fra serio
e celia, qualche frascherìa.

Io, che ad esprimermi son uso
sulla boccuccia tua di rose
coi baci, fiamme che dal fondo
del cuore irrompono impetuose!

E' moda! Quando s'è poeti,
la moglie non concede tregua
se un verso, accanto agli altri vati
canori, in album non s'esegua!

(Heinrich Heine - Romanzero - Trad. Giorgio Calabresi)

IMPERFEZIONE

Nulla c'è a questo mondo di perfetto.
La rosa ha le sue spine; di difetto
credo perfino che non siano esenti
lassù nel cielo gli angioli innocenti.

Il tulipano non ha olezzo. Al reno
si dice: "Anche Onestuomo rubò almeno
un porco". Senza quel suicidio ardito
udreste che Lucrezia ha partorito.

Il pavone superbo ha il piede orrendo.
La spiritosa dama dà, leggendo
l'Henriade di Voltaire, noia a chi ascolta,
come il Messia di Klopstock qualche volta.

Vacca dotta in spagnolo non si trova,
nè Massmann sa il latino. Fin Canova
a Venere il sedere troppo raso
ha fatto, e Massmann naticuto ha il naso.

In dolce carme un'aspra rima è fiele
come aculeo d'ape dentro il miele.
Achille aveva il piede vulnerabile,
e che Dumas è meticcio è incontestabile.

L'astro che lassù in cielo ha più splendore
casca giù se si piglia il raffreddore.
Della botte a seconda può piacere
il miglior sidro, e il sole ha macchie nere.

E tu, Signora egregia, tu non sei
neppur senza difetti, senza nei.
Mi guardi - e chiedi: "Cosa mi contamina?
Cosa mi manca?" - Un petto, e in petto un'anima. -

(Heinrich Heine - Romanzero - Trad. Giorgio Calabresi)

COSI' VA IL MONDO

Quando hai molto, assai più ancora
di ricever ti vien fatto.
Quando hai poco solamente,
anche il poco t'è sottratto.

Ma se proprio non hai niente,
ah, va' a farti sotterrare -
sol chi ha qualcosa, straccio,
ha diritto di campare!

(Heinrich Heine - Romanzero - Trad. Giorgio Calabresi)